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La geometria nell’architettura

04/01/2011

Secondo Ludovico Quaroni, la geometria è uno strumento col quale noi delimitiamo, tagliamo, precisiamo, formiamo lo spazio, che è il materiale di base per l’architettura.
La riconoscibilità delle forme è una condizione irrinunciabile perché il messaggio architettonico venga recepito; forme saranno dunque tanto più percepibili e riconoscibili, quanto più saranno caratteristiche e non confondibili con altre, e quindi semplici e regolari. I caratteri formali specifici, intrinseci delle figure geometriche semplici sono anzi tanto forti da generare nell’uomo, qualunque sia il grado di evoluzione al quale appartiene, immediati, istintivi riferimenti simbolici.
Si tratta degli aspetti più elementari della “psicologia della forma”, ma è proprio su questi, bene o male, che è stato possibile costruire, dall’alba dell’umanità fino ad oggi, il grande edificio unico dell’architettura universale. Senza bisogno, quindi, di riferirci esclusivamente a quelle architetture per le quali si è voluta scegliere una forma “pura”, come quella capace di dar forza alla “realtà – mito” e senza seguire le idee e le caratteristiche progettuali di Le Corbusier, in modo da considerare l’architettura solo come il gioco dei solidi geometrici, resta il fatto che è sempre possibile, salvo rarissime eccezioni, leggere in un’architettura un insieme di forme geometriche elementari.
Queste forme elementari sono le “figure” di cui si occupa la geometria classica a noi pervenuta attraverso gli scritti di Euclide.
La geometria è la scienza delle proprietà e delle relazioni di grandezze nello spazio; essa interessa dunque l’architettura in quanto si occupa delle qualità e delle proprietà delle forme spaziali, e in quanto permette operazioni grafiche bidimensionali, capaci di costruire e controllare forme tridimensionali e spaziali. La geometria interessa l’architetto come scienza – base per lo studio e la costruzione delle strutture formali. Si può dire che la geometria è la scienza che si occupa dell’economia dello spazio, usando la parola economia in senso lato, come rapporto fra quantità e qualità.
La geometria per l’architetto, è dunque una base e un mezzo disciplinare, uno strumento indispensabile nel trattamento delle forme che entrano nella composizione degli spazi. Questa geometria, per l’architetto è dunque più cose:

– da un primo punto di vista è un sistema di forme reali, risultanti dagli spazi e dalle altre configurazioni comunicanti e significanti dell’edificio costruito;
– da un secondo punto di vista, invece, è il complesso sistema grafico matematico che è stato usato per costruire sulla carta la geometria stessa degli spazi e delle altre configurazioni dell’edificio;
– infine da un terzo punto di vista, questa, è il mezzo grafico per trasmettere e comunicare, prima, durante e dopo la costruzione, l’idea progettuale e la struttura architettonica dell’edificio.

Dopo diverse analisi si può quindi dire che la geometria è una costruzione del cervello umano. Osservando la natura che ci circonda, si possono trovare certe aspetti della complessa realtà di strutture naturali, alle varie scale, dalle proporzioni del corpo umano alle simmetrie dei fiori, alle spirali del DNA. Nell’architettura il procedimento si rovescia e diventa diretto, perché ci serviamo della geometria per costruire l’organismo architettonico; e come non possiamo dire che un organismo naturale sia fatto di sola geometria, così non è possibile dire che basti la geometria per progettare un organismo architettonico. Così per prima cosa si deve evitare di considerare un’architettura tanto più valida quanto più riducibile alle forme elementari della geometria, ricordando che la verità, anche in architettura, è un fatto complesso, proprio perché cosa umana: le stesse piramidi egiziane, all’apparenza esteriore così elementari, sono il risultato di stratificazioni e complicazioni progettuali tutt’altro indifferenti. La seconda, opposta alla precedente, consiste invece nella necessità di non farsi prendere dall’illusione che progettando complicato si faccia architettura più evoluta, avanzata, moderna. Se infatti il processo non è portato avanti coscientemente e con i dovuti controlli continui si rischia di non fare architettura affatto.
La geometria, che è matematica, si occupa infatti dello spazio astratto, mentre l’architettura che è tecnica e arte, si occupa dello spazio concreto, dello spazio in rapporto all’uomo, alla sua presenza come osservatore, alla sua dimensione come fruitore.
Si può quindi arrivare alla conclusione che la necessità, per ottenere una buona architettura, è quella di raggiungere una equivalente struttura formale, cioè un insieme di rapporti dimensionali legati strettamente a loro. Ecco perché si cerca di trovare dei tentativi per codificare una legge, capace di assicurare la bellezza al manufatto architettonico: una legge dei rapporti fondamentali tra le parti e la loro riduzione all’unità, cioè al modulo ( che in latino significa misura, misura base). Tutte le civiltà, a partire dalla più antiche hanno sempre cercato di progettare le loro costruzioni sulla base di un’unità di misura astratta, il modulo, al quale sono state ricondotte per multipli e sottomultipli, le dimensioni dell’insieme e delle singole parti, anche se varia, da cultura a cultura, il modo con cui è stato trovato. La ricerca del modulo dovrebbe consistere nel misurare in tutte le sue parti un soggetto ritenuto valido, e nel cercare il massimo comune denominatore delle varie misurazioni fatte. Ci sono però anche degli edifici che traggono dalla sproporzione con le dimensioni umane, e dalle sproporzioni all’interno dell’edificio le ragioni della loro bellezza: per dare all’uomo, ad esempio, in una chiesa, il rapporto della sua persona con la divinità è necessario ricorrere alla sproporzione fra la dimensione delle parti dell’edificio più a contatto con l’uomo, volutamente tenute basse e schiacciate, e le parti fuori del contatto dell’uomo, disegnate, molto alte, slanciate, eleganti, elevate.
Le proporzioni ognuno deve trovarle da se, perché solo in questo modo le proporzioni, o le sproporzioni, adatte a esprimere l’idea progettuale. I moduli e le proporzioni degli ordini classici, comunque, costituiscono un sistema modulare statico e soddisfacevano benissimo le esigenze dell’architettura classica e delle molte sue derivazioni. Le proporzioni classiche sono armoniche, mentre la civiltà attuale è spesso caratterizzata da disarmonie. Probabilmente solamente le dissonanze, in architettura, e le sproporzioni, riescono a rendere l’atmosfera dinamica, tragica, scomposta del mondo attuale; tuttavia in tempi recenti, l’attenzione degli architetti e in particolare di Le Corbusier, è stata attratta dalle ricerche fatte dai matematici sulle proporzioni dinamiche e in particolare sulle proprietà del rapporto aureo. Il rettangolo che si ottiene avente come lato corto la sezione aurea del lato lungo, ha la proprietà di riprodurre la stessa proporzione fra i lati dei due rettangoli che si ottengono quando sia tagliato a metà e questa proprietà risulta molto vantaggiosa nella pratica del progettare, come d’aiuto è la conoscenza della sezione aurea e della sua facile costruzione, perché permette di tagliare una dimensione (una facciata, una piazza, una stanza…) in due parti che sono molto diverse fra loro, ma non troppo diverse.

L’ARMONIA DELLA REGOLA AUREA

Come base dell’armonia il filosofo greco Filolao poneva la “discordanza concorde”, vale a dire l’accordo di consonanze ineguali rappresentate da proporzioni dissimili, come il rapporto fra 3 e 4 o fra 2 e 3. Il suo maestro Pitagora aveva scoperto che le armonie musicali si devono a rapporti di piccole unità numeriche (come ad esempio il triangolo platonica).

Con il pensiero cristiano le convinzioni pitagoriche vengono integrate con alcuni passi biblici: nella Genesi viene indicata la misura dell’arca di Noè e anche il Tempio di Salomone viene indicato con misure e proporzioni precise. Queste, pertanto, sono tutte immagini simboliche dell’universo basate su relazioni proporzionali, in sintonia con il pensiero cristiano: “Dio ha disposto tutto con misura, numero e peso”.Che cos’hanno in comune la mirabile disposizione dei petali di una rosa, il celebre dipinto di Salvador Dalì il “sacramento dell’ultima cena”, l’armoniosa spirale di alcune conchiglie e l’allevamento di conigli?

Queste realtà così disparate condividono un numero. O una proporzione geometrica, noti fin dall’antichità e designati nell’Ottocento con una serie di definizioni che alludono all’oro, simbolo di ciò che è nobile, inalterabile e prezioso: “numero aureo, rapporto aureo e sezione aurea”.
Il sostantivo proporzione per indicare un rapporto tra cose considerate secondo la grandezza o la quantità; oppure un rapporto tra cose o parti di esse che appaia caratterizzato da una particolare armonia. In matematica con proporzione si intende di solito un’uguaglianza come 9 sta a 3 come 6 sta a 2. Il rapporto aureo è un interessante amalgama dei due significati, quello quantitativo e quello estetico, perché pur essendo definito matematicamente gli viene attribuita la capacità, se applicato a oggetti che colpiscono i sensi, di renderli piacevolmente armoniosi.

La prima chiara definizione del rapporto che sarebbe stato chiamato aureo fu formulata dal fondatore della geometria in quanto sistema deduttivo: Euclide. Egli si è soffermato su un particolare rapporto di lunghezze, ottenibile in modo relativamente semplice dividendo una linea secondo quella che chiamò la sua proporzione estrema e media. Il valore esatto del rapporto aureo corrisponde al numero 1,6180339887…., con infinite cifre decimali prive di sequenze ripetitive; un numero interminabile che ha incuriosito gli uomini fin dall’antichità. Il fatto che la sezione aurea non si possa esprimere per mezzo di una frazione ( cioè con un numero razionale) significa semplicemente che è impossibile trovare due numeri interi il cui rapporto corrisponda esattamente al rapporto di due lunghezze.

Il simbolo consueto per indicare il rapporto aureo è la lettera τ (tau) dal greco taglio, sezione. Ma all’inizio del XX secolo il matematico americano Mark Barr ha introdotto, al posto di tau, la lettera greca φ (phi), dall’iniziale del nome del grande scultore Fidia vissuto tra il 490 e il 430 a. C. Fidia aveva spesso applicato consciamente e con grande precisione, il rapporto aureo alle sue opere.

Ma il rapporto aureo non ha affascinato solo i matematici. Biologi, artisti, musicisti, storici, architetti, psicologi, perfino mistici hanno indagato e discusso la sua inattesa presenza nei campi più diversi.

Il rapporto aureo può essere scoperto non solo nei fenomeni naturali, ma anche in molte opere dell’uomo, in particolare in campo artistico. Il rapporto aureo compare nelle opere di molti artisti, architetti e progettisti, e perfino in molte celebri composizioni musicali.
Una delle proprietà che contribuiscono alla riuscita estetica di un’opera è il suo essere proporzionata: l’armonia del rapporto quantitativo, sia delle parti tra loro sia delle parti col tutto.

GLI ANTICHI…

Molti autori insistono sul fatto che le dimensioni della Grande Piramide si basino sul rapporto aureo. Ma sorge spontanea una domanda: i sudditi del faraone sapevano davvero dell’esistenza di φ? Solo attraverso una serie di misurazioni si è arrivati a pensare che gli antichi greci erano a conoscenza del rapporto aureo. Ma è quasi impossibile provare che il rapporto aureo non compaia in qualche manufatto egizio, finchè la dimostrazione è data solo da alcune misurazioni. In mancanza di documenti che attestino l’uso consapevole del rapporto aureo, le dimensioni dell’opera d’arte o del progetto architettonico dovrebbero esser tali che la presenza di φ si imponga all’osservatore per la sua evidenza; al contrario, se esso appare quasi nascosto nelle pieghe della struttura visibile, cosicchè solo un’analisi molto elaborata riesce a rivelarlo, è difficile convincersi che la sua presenza sia frutto della volontà dell’artista o dell’architetto.

Studiosi come Piazzi Smith e Taylor pensano che la Grande Piramide di Cheope contenesse una serie di proporzioni basate su conoscenze matematiche ignote agli egizi. Secondo Erodono, la piramide fu costruita in modo tale che l’area di ciascuna faccia fosse uguale all’area di un quadrato il cui lato sia pari all’altezza della piramide. Negli anni successivi, altri diversi autori sostenevano la stessa tesi. Questa teoria porta alla conclusione che la Grande Piramide è stata progettata in modo tale che, dividendo l’altezza di una faccia triangolare per la metà di uno dei suoi lati della base si ottenga il rapporto aureo. Attraverso una serie di analisi sono arrivati a scoprire che la base della piramide è molto vicina ad essere un quadrato perfetto: i suoi lati variano da un minimo di 230.25 metri, a un massimo di 230.45 metri. L’altezza del monumento è di 146.73 metri. Da questi valori, usando il teorema di Pitagora, ricaviamo l’ipotenusa 186.54 metri. Perciò si ha che il rapporto tra l’ipotenusa e la metà del lato alla base della piramide è uguale 1.62 un valore molto vicino al nostro φ. A questo punto si può concludere, anche se non con estrema certezza che gli architetti egiziano conoscessero il rapporto aureo, non solo perché tale rapporto è annidato nei rapporti della Grande Piramide, ma anche per la testimonianza del grande Erodoto.

IL RETTANGOLO AUREO

Nel rettangolo aureo il lato maggiore e il lato minore stanno tra loro in un rapporto pari a φ. Immaginiamo di sottrarre da questo rettangolo un quadrato di lato uguale al minore. Il risultato sarà un piccolo rettangolo, che a sua volta sarà un rettangolo aureo.

Le dimensioni del rettangolo “figlio” sono minori di quelle del rettangolo “genitore” di un fattore pari a φ. Togliendo un quadrato dal rettangolo “figlio2 con lo stesso procedimento, otteniamo un terzo rettangolo aureo di nuovo rimpicciolito di un fattore pari a φ. Proseguendo si genera una serie di rettangoli aurei sempre più piccoli, di dimensioni ridotte ogni volta di un fattore uguale a φ. Esaminando ciascun rettangolo, si può constatare che sono identici. Quello aureo è l’unico rettangolo che consente, togliendo un quadrato della sua area, di ottenere un rettangolo simile al primo. Tracciando due diagonali che si intersecano in ciascuna coppia di rettangoli, “genitore” e “figlio”, si trova che tutte le diagonali passano per un punto. Si può dire, quindi, che una serie geometrica di rettangoli aurei sempre più piccoli “converga” intorno a quel punto senza mai raggiungerlo. (Tale punto, visto che ha le proprietà divine del rapporto aureo è stato definito “occhio di Dio”).

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